22 ottobre 2012

Quando gli artisti fanno i dischi


C’era una volta il disco, una piastra tonda di fragilissima gommalacca e lamina di metallo nata nel 1888 per dar voce ai giocattoli. 
Pensate, quell’oggetto che faceva ballare e flirtare i nostri nonni e genitori e che ha rivoluzionato usi e costumi della società del secolo scorso nacque da una bambola parlante
L’audio, prima dei giochi parlanti del tedesco Emile Berliner, si poteva registrare e riprodurre solo grazie al fonografo che Thomas Alva Edison presentò a New York ad un pubblico incredulo il 6 dicembre 1877
Sono in molti a sospettare che Edison più che al telegrafo si sia “ispirato” alle intuizioni del poeta francese Charles Cros che depositò la stessa idea mesi prima all’Accademie des Sciences di Parigi. Ma l’accusa non è dimostrabile e i fatti narrano che l’inventore americano canticchiò Mary had a little lamb dentro un imbuto che catturando il suono fece vibrare una membrana che muoveva una punta in acciaio che a sua volta incideva una lamina in stagno applicata su un cilindro e che quella nota filastrocca per bambini divenne quindi la prima “canzone” incisa della storia. 

A rivoluzionare il mondo della musica fu però l’invenzione di quel disco piatto nato per far parlare le bambole. 
Lo stesso Berliner ne capì appieno il potenziale nel 1895, quando produsse il grammofono a manovella da lui inventato anni prima e fondò la propria etichetta discografica per far concorrenza ai cilindri musicali di Edison. 



La prima canzone su un disco a 78 giri destinata al mercato discografico fu A’ Risa, cantata da Bernardo Cantalamessa, uno dei cantanti e attori napoletani che facevano la spola tra l’Italia e New York in cerca di successo nei locali dei compatrioti come il Caffè-Concerto Pennacchio o il Florence Theatre. 
E mentre tra gli emigrati italiani andava di gran moda Enrico Caruso, promosso da vignettista a grande tenore proprio grazie alle incisioni di arie d’opera dell’etichetta discografica Victor (divenuta poi RCA),  la Columbia iniziò a incidere dischi di jazz, la Paramount si specializzò in country-blues e iniziò la guerra tra etichette discografiche a chi avrebbe trovato il genere più amato e l’invenzione più innovativa. 
Il colpo di genio venne dopo la seconda guerra mondiale ai tecnici della Columbia Records (poi CBS) che sostituirono la gommalacca col vinile potendo così incidere dischi dai solchi più stretti, dal suono più nitido e, soprattutto, dalla lunga durata. 
Nascevano i 33 giri, i long playing con più canzoni. 
Già dal 1939 art director della Columbia era l’appena ventiduenne Alex Steinweiss a cui nel 1948 fu chiesto di trovare il metodo per non graffiare il nuovo vinile con le buste di carta bucate che fino a quel momento contenevano i 78 giri in gommalacca. 
Steinweiss, che aveva introdotto da una decina d’anni il graphic design nella confezione dei dischi, progettò una busta rigida e chiusa, da stampare su tutta la superficie. 


Alex Steinweiss

Alex Steinweiss

Assunse l’artista Jim Flora a 55 dollari a settimana per coadiuvarlo nel suo lavoro grafico e unì così in felice e duraturo matrimonio arte e copertine di dischi. 
La prima cover disegnata da Flora a metà anni 40 fu per Benny Goodman e Harry James e da allora il suo stilizzato segno cartoon divenne marchio di fabbrica di dischi jazz, targati sia Columbia che Victor RCA. Gene Krupa and His Orchestra del 1947 è invece uno degli ultimi dischi a 78 giri che Flora disegnò prima della rivoluzione del 33 e del 45 giri. 
Artisti contemporanei come Tim Biskup, Shag e Derek Yaniger, illustratori come J.D.King o animatori come Pete Docter della Pixar si rifanno all’inconfondibile stile di Jim Flora. 


Jim Flora

Jim Flora

L’idillio tra dischi e arte prosegue e si esalta ovviamente con la Pop Art, se pensiamo che già nel 1949 un giovane e sconosciuto Andy Warhol realizza la sua prima cover art per l’album A Program of Mexican Music di Carlos Chávez


AndyWarhol

È proprio dal 1949, con l’avvento del 45 giri della RCA e un’operazione di lancio di centinaia di titoli diversi, che un supporto in assoluto più maneggevole ed economico per diffondere la musica si afferma come oggetto di ampio consumo diffondendo nuovi valori, suoni ed immaginari visivi. 
Due sole canzoni incise, com’era per i 78 giri, ma con la praticità dell’LP. 
Il nome? Dalla semplice operazione: 78-33=45. 

Con l’enorme diffusione dei 45 giri le cover diventano icone. 
Già da fine anni 50 tra gli illustratori USA che seguono il percorso di Flora spiccano David Stone Martin, Sadamitsu Neil Fujita e il giovane Warhol


Sadamitsu Neil Fujita

Sadamitsu Neil Fujita

David Stone Martin

David Stone Martin

In Italia dall’inizio degli anni 60 il designer Fulvio Bianconi e grandi cartoonist come Hugo Pratt, Guido Crepax, Jacovitti e Bruno Bozzetto, come negli anni 80 Andrea Pazienza e Tanino Liberatore, realizzano cover di 45 giri celebri. 
Fulvio Bianconi

Andrea Pazienza

Mentre un disco dell’attore USA Jackie Glason  già nel ’55 ha la copertina dipinta dal compagno di bevute Salvador Dalì, con gli anni 60 e grazie a Warhol e i Velvet Underground, il connubio arte e musica si fa sempre più saldo e sperimentale. 


Salvador Dalì

Warhol diverrà marchio di garanzia e realizzerà 51 artwork per 45 e 33 giri di Diana Ross, Rolling Stones, John Lennon, Paul Anka, Aretha Franklin, Billy Squier e molti altri, fino agli svedesi Rat Fab e all’italo-spagnolo Miguel Bosè.

Andy Warhol

Sono sempre di più i musicisti che scelgono l’arte contemporanea per rappresentare le proprie canzoni e l’opera d’arte in copertina diviene uno status. Uno dei padri della pop dance music, Bobby Orlando vuole l’altrettanto pop Roy Lichtenstein e il suo ciclo delle Crying Girls per I Cry For You e relativi 45 giri. David Bowie, Run DMC e Sylvester preferiscono il graffitista Keith Haring, David Byrne chiama Robert Rauschemberg per il suoi Talkin Heads, e all’immagine di Patti Smith pensa il suo amico Robert Mapplethorpe


Keith Haring

C’è chi si lega infatti al lavoro di un artista commissionandogli più cover, come i Minutemen con Raymond Pettibon, i Dead Kennedy’s con Winston Smith, i Little Feat con Neon Park e i The Hours con Damien Hirst


Raymond Pettibon

Winston Smith

Altri scelgono una firma a disco, come i Red Hot Chili Peppers che chiamano nel 1995 Mark Ryden, attivo anche per Butthole Surfers, Michael Jackson e molti altri, nel 2002 vogliono Julian Schnabel (la cui figlia Stella era all’epoca fidanzata con Frusciante) fino a Hirst nel 2011, che rispolvera le sue mosche e le sue pillole per la cover dell’ultimo album della band di Los Angeles. 


Mark Ryden

Julian Schnabel


In epoca di riscoperta del vinile i Blur per l’album Think Tank del 2003 stampano tre singoli su 45 giri e ognuno con in copertina un’opera dell’arcinoto street artist Banksy


Banksy

Banksy

Banksy

E, visto che ormai formati mp3 e flac rendono obsoleto il CD e il vinile sembra destinato a tornare il supporto sonoro tangibile da preferire, forse la storia dei 45 e 33 giri e delle loro copertine d’artista non finisce qui.


Diavù (cover dell'album di Luca Sapio Who Knows)

18 ottobre 2012

Mondo fantasma

Oggi parliamo di una serie a fumetti di qualche tempo fa e anche un po' del mondo che, come ben si sa, è una merda. 
O almeno questo lo pensano Enid e Rebecca e chi, adolescente o poco più, ogni giorno si sforza ad imparare a stare con gli altri. 
Ci si sente unici a vent’anni, l’omologazione in cui sono caduti i propri genitori fa orrore, l’ipocrisia degli amici che ti sparlano dietro fa stare male, la bassezza dei programmi tv fa schifo, la coerenza tra sesso e amore è una follia assurda. 
La normalità è una minaccia e tutti i comportamenti degli adulti sembrano stupidi. Anzi, infantili. 
A volte vorresti morire e allora ti trascini invisibile nella tua città a guardare quelle facce da culo sconosciute, eppure così prevedibili. Fa meno paura della morte e l'effetto può dirsi simile.
O sono solo gli ormoni sballati a farti questi scherzi?


Questa serie (pubblicata a in USA prima ad episodi sul comic book Eightball poi in volume e in Italia nel 2008 da Coconino Press) è uno dei capolavori USA degli anni 90 e il suo autore è il cinquantunenne di Chicago Daniel Clowes
Se non lo conoscete fatevi sotto.
Ghost World nel 2001 è diventato film e lo stesso Clowes ne ha scritto la sceneggiatura, sviluppando personaggi nel fumetto solo accennati.



La regia è del cultore di fumetti underground Terry Zwigoff, già autore del toccante documentario-biografia sull'artista Robert Crumb. 

Ma chi sono l’occhialuta e lentigginosa Enid e la bionda ed emaciata Rebecca? 
Due amiche che hanno appena finito il college e stanno vivendo assieme quell’estate sospesa tra le accomodanti abitudini degli anni accademici trascorsi accanto alle stesse persone, e un futuro incerto. 
È la stagione sospesa delle scelte: l’università o un lavoretto al fast-food in attesa di decidere? Partire per sempre o restare in città? 
La loro amicizia è inossidabile e gli altri sono esclusi dai loro discorsi sarcastici codificati, dai cattivissimi scherzi telefonici, dalle loro fantasie e dai loro ricordi. 
Vivono in un paese della provincia americana che sembra una riproduzione in scala del mondo a noi tutti famigliare, perché Daniel Clowes è un sapiente espressionista e nel ritrarre le tipologie delle persone sa scavare nell’intimo e mettere in risalto i tratti caratteriali comuni. 
Infatti i personaggi che Enid e “Becky” osservano - o meglio spiano - ci sembra di conoscerli tutti. 
Pare di leggere in quegli sguardi tutte le loro debolezze. Per questo, malgrado l’evidenza dei difetti e dei vizi e i banalissimi atteggiamenti di difesa che assumono, ci rimane difficile giudicarli.

C’è la coppia che Enid ha ribattezzato “i satanisti” per l’aria sospetta con la quale si aggirano al bar o al supermercato. C’è John Ellis, giovane direttore del giornalino locale che spiattella casi di pedofilia e parla di nazisti e serial killer con macabra spavalderia, ma solo per attirare l’attenzione. 
C’è John “controtutti” Crowley, il tossico skinhead che ascoltava solo musica punk e ha scritto anarchia sulla macchina del papà di Enid e che ora vuole diventare pezzo grosso di una grossa multinazionale per fottere il sistema andando in pensione a 35 anni. 
E poi c’è Josh, l’amico che sembra disinteressato al sesso e che invece…zitto zitto….



Però prima o poi si cresce, e anche il mondo ci sembra migliore perché siamo noi che gli somigliamo sempre di più, siamo noi a diventare ogni giorno un po’ più schifosi e corrotti.
Cambiano i rapporti e si deperiscono le amicizie, così il nostro mondo dei sogni e dei desideri muore lentamente. Ne resta un fantasma, sempre più sbiadito, appannato, lontano. 
Ghost World è una scritta sul garage della famiglia di Enid che nessuno ricorda da quanto tempo è lì. 
Ghost world, ghost world, ghost world. 
C’è qualcuno che da almeno un decennio continua a riempire la città di scritte così.
E nessuno l’ha mai visto in faccia.


GHOST WORLD, trailer del film (regia Terry Zwigoff)


2 ottobre 2012

Pussy pussy bau bau. Una chiacchierata con Oleg Kulik, Wang Guangyi, Timothy Greenfield-Sanders, Andres Serrano e Marina Abramović.


C'è chi entra in chiesa per spararsi, chi per cacciare i mercanti dal tempio, chi per girare un videoclip. 

Il 21 febbraio scorso tre ragazze col viso coperto hanno fatto irruzione nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca recitando una preghiera punk sull'altare. 
Ma non promuovevano solo un disco.

Le tre Pussy Riot vengono dal collettivo artistico Voina ("guerra" in russo), noto per le sue azioni politiche e accusato di spionaggio occidentale da una parte dell'opinione pubblica russa. Supplicavano la Beata Vergine di togliere di mezzo Vladimir Putin, alla vigilia del suo terzo mandato al Cremlino, incolpando la massima autorità religiosa ortodossa il patriarca Cirillo di credere più in lui che in Dio.


Pochi giorni dopo Maria Alyokhina, Yekaterina Samutsevich e Nadezhda Tolokonnikova, di 24, 30 e 22 anni finiscono in carcere per quest'azione di una manciata di secondi. 


Sul web il video fa il giro del mondo, raccolgono la solidarietà di star come Bjork e Madonna, e nel mondo si moltiplicano le opinioni a favore e contro. Cristani di ogni fede le accusano di oltraggio alla religione, scandalizzati da loro precedenti azioni come l'orgia messa in scena coi Voina nel 2008 nel Museo biologico di Mosca contro l'elezione del Presidente Dmitri Medvedev in cui Nadezhda incinta di 9 mesi fa sesso col marito Peter Verzelov. 




Poi il fallo dipinto di 65 metri sul ponte levatoio Liteyny che si erge verso la sede del servizio segreto russo, il teschio simbolo dell'anarchia proiettato sul palazzo del governo, il concerto punk improvvisato in tribunale al processo al critico d'arte Erofeev e tanti altri gesti situazionisti che denunciano la mancanza di libertà e di diritti in una Russia "governata da mafiosi".



L'ultima performance costa alle tre due anni di carcere.


Due membri di Voina, il fondatore Oleg Vorotnikov e il presidente Leonid Nikolaeve, erano già finiti in cella nel 2010 per "Rivoluzione di palazzo", performance in cui avevano rovesciato volanti della polizia davanti al commissariato di San Pietroburgo. E la cauzione di 20 mila dollari la pagò nientemeno che lo street artist più noto al mondo, Banksy


Il primo maggio dell'anno precedente ero a Mosca per una mostra che mi hanno dedicato al centro culturale Vinsavod e si respirava un'aria poco rassicurante. Gli artisti erano esausti delle limitazioni alla propria libertà di espressione e giovanissimi poliziotti ci osservavano con disprezzo. Memore di quel disagio parlo del caso Pussy Riot con alcuni dei più noti artisti del mondo, a cominciare dal performer russo Oleg Kulik.




L'uomo-cane che nel 1996 mordeva nudo a quattro zampe e al guinzaglio i visitatori della Biennale d'arte Manifesta, è amico di Nadezhda e di suo marito. «Mentre lavoravo al mio progetto “I BELIEVE” nell’autunno del 2006 conobbi i futuri membri di Voina vicino all’Università di Mosca. Non avevano un posto dove vivere e mio figlio Anton Nikolayev suggerì che potevano stare nel mio studio, dove lavoravo alle mie performance tra foto e video dei miei lavori. Rimasero un paio di anni, studiando attentamente il mio lavoro. Anche Anton in quel periodo iniziò a realizzare con loro performance artistiche in strada (nota: Kulik ha mandato la foto March of Conseling) e fu lui a suggerire il nome Voina e la loro prima azione anti-globalizzazione, tirare gatti vivi nei McDonald's»

Ma un'arte che prende di mira il capitalismo non ci stupisce più, l'attacco frontale alla religione invece non va giù all’opinione pubblica e il dichiararsi artisti performer sembra un modo per giustificare l'estremismo. 
Fin dove può spingersi l'arte? 
Il cinese Wang Guangyi, che ci ha abituati a immagini critiche che affiancano loghi di brand occidentali come Coca Cola, Chanel e Disney a soldati, operai e altri simboli della propaganda della Rivoluzione Culturale Cinese, raccontandomi che i media cinesi hanno trattato pochissimo la notizia aggiunge: «la storia del Modernismo insegna che chiunque si dichiari artista va definito tale, anche se non vuol dire che sia un buon artista. Non c'è bisogno di una galleria o di un museo per fare una performance, le Pussy Riot l'hanno realizzata in una chiesa ed è legittimo. Non hanno interrotto una funzione sacra». 
Il fotografo statunitense Timothy Greenfield-Sanders, riguardo le performance sessuali del gruppo spiega: «la pornografia ha un'enorme influenza sulla nostra cultura e gli artisti sono stati i primi ad accorgersene, in molti casi hanno aggiustato il tiro. Le sculture pornografiche di Jeff Koons dei primi anni 90 furono considerate scandalose all'epoca, ma una dozzina di anni dopo i dipinti di John Currin e il lavoro di Cecily Brown, più estremi di Koons, erano già mainstream in confronto»
E l’attacco alla religione? Il discusso Andres Serrano, che ha immerso un crocefisso nella propria urina, definisce ovvio che un artista educato nel Cristianesimo usi simboli religiosi. E sulle Pussy Riot aggiunge che «dovrebbe essere data loro la considerazione che meritano gli artisti, che devono essere giudicati in maniera diversa dai criminali, come invece succede ai ricchi, ai potenti, ai famosi e ai bianchi in confronto ai neri. Se necessario, un artista lo si può dichiarare clinicamente pazzo per lasciarlo libero»



L'azionismo russo, non a caso, nasce proprio da una dichiarazione di pazzia. Ha radici nel 1600, nel movimento ascetico degli Stolti di Cristo. Asceti come  Avvakum e San Basilio il Benedetto durante le loro performance aggressive erano i soli a poter criticare apertamente il potere. «A Nadya e a suo marito Petya», incalza Oleg Kulik, «ho parlato molto degli Stolti di Cristo. Gli dicevo poi che agli albori della Perestroika discutendo della difficile situazione in Russia con gli artisti Anatoly Osmolovsky e Alexander Brenner decidemmo che erano necessarie azioni estreme in spazi pubblici simboli del Paese e che occorreva una vittima, uno di noi in prigione per glorificare l’arte Russa nel mondo. Così è stato da quando l’azionismo Moscovita ha fatto la sua comparsa». Kulik ammette che l'arrivo del Capitalismo in Russia e il disfacimento del Socialismo resero però quelle loro azioni invisibili. «Erano performance radicali basate sull’eliminazione di comportamenti civili, ma avvenivano sullo sfondo di un capitalismo selvaggio tale che la società non si scandalizzava. Eravamo nulla in confronto ai politici di quegli anni. Tutto cambiò con l’arrivo di Putin, la situazione si congelò, la gente carismatica e brillante fu espulsa dalla politica e arrivarono tecnocrati e speculatori. Fu allora che il movimento Voina ci entusiasmò, credemmo che l’arte si sarebbe aperta un varco attraverso il pubblico, un dialogo con la società civile. Compirono azioni di guerriglia da veri politici, agendo di notte e distribuendo informazioni in rete, ma l’arte man mano scomparve dalle loro intenzioni»


Così nel 2011 da una costola di Voina nacquero le Pussy Riot. Peter Verzelov deve essersi sentito un novello Malcolm McLaren nel fondare una band punk che mescola Sex Pistols e Marina Abramovic, l'artista che ha spinto ad estreme conseguenze fin dai primi anni 70 la performance-art. «Però, irrompendo in posti prevedibili come la Piazza Rossa o la metro di Mosca non hanno intaccato i punti deboli della società russa moderna», precisa Kulik. «Un'azione artistica ha successo se combina perfettamente attacco politico e legame estetico con la tradizione e nella Cattedrale è successo perché là hanno colpito la sacralità del potere politico, la nostalgia per una monarchia da investitura divina e il desiderio delle autorità corrotte di nascondersi dietro l'autorità della Chiesa, cresciuta sulle ceneri del Comunismo. Queste donne blasfeme si muovono come automi, indossano anonimi passamontagna e i colori sgargianti degli abiti tradizionali delle donne russe, conoscono bene la propaganda rivoluzionaria del 1920 – Malevich, Rodchenko e Stepanova - e hanno smontato la fragile convinzione di chi nel periodo sovietico credeva nel luminoso futuro del Comunismo e oggi coltiva la speranza che tutto andrà per il meglio nel nostro grande Paese, col nostro forte presidente, le cupole dorate della Chiesa Ortodossa e con Dio dalla nostra parte. Ma se Dio non fosse con noi? L'immagine che abbiamo del mondo crollerebbe, e questo è molto più dannoso di qualsiasi opposizione politica o interferenza straniera. L'inadeguata reazione della Russia a questa performance ha frastornato molti, soprattutto atei e persone pragmatiche. Si chiedono "che succede alla nostra società? In che secolo siamo?"».



La stessa Marina Abramović esprime la sua condanna: «Il governo russo viene da una lunga storia di persecuzione contro scrittori, filosofi, liberi pensatori e artisti in genere. È scioccante che questo totalitarismo non sia finito neanche nel 21esimo secolo. Questa sentenza contro le Pussy Riot provocherà soltanto più repressione e rivolte»

E Kulik aggiunge che «l'azione intuitiva e spontanea delle Pussy Riot è bella, coraggiosa, impressionante, artistica e analitica. Hanno fatto emergere dall'underground il loro progetto artistico conseguenza dell'arte degli ultimi 25 anni e ora nessuno può dire che non ci sia un'arte contemporanea importante in Russia. Io le voglio includere nel mio progetto "1990s - Time of Change", che inaugura il 9 ottobre a Mosca. Tutti gli artisti dell'azionismo moscovita, movimenti come Blue Buckets e Voina, sono oggi i capelli grigi sulle splendide chiome di queste tre ragazze in carcere».
L'arte è dunque molto più importante della politica e sopravvive anche alle religioni. «E Putin è solo una piccola figura politica del periodo storico delle Pussy Riot», conclude l'uomo-cane che le ha allevate.

David Vecchiato, 9 settembre 2012.


VOINA, "Storming of The White House"

VOINA, "Fuck for the heir Puppy Bear!"


PUSSY RIOT at Christ The Saviour Cathedral (video of the song "Mother of God, Drive Putin Out")